Congedo di maternità e paternità
Il congedo obbligatorio per neo-genitori cambia molto nei due sessi. Le donne, in Italia, hanno un congedo obbligatorio di 5 mesi da distribuire prima e dopo il parto; gli uomini hanno un congedo obbligatorio di 7 giorni (dal 2020, fino all’anno precedente era di un massimo di 5 giorni). Si potrebbe discutere sull’adeguatezza delle tempistiche, se siano effettivamente compatibili alle necessità di un neonato e di un neo-genitore. Le madri hanno bisogno, nell’immaginario comune, di più tempo, in primis perché affrontano il parto che è fisicamente molto impegnativo e ha dei tempi di recupero del tutto individuali e, in secondo luogo, perché sono ritenute le principali figure di accudimento: si occupano del bambino di più rispetto ai padri. Da qui la forte disparità nel tempo concesso.
Ma sarà realmente così? Quest’idea deriva da un fattore culturale più che dalle reali esigenze e necessità di un bambino. Complici le teorie psicologiche di inizio ‘900, per lungo tempo si è ritenuto che le madri fossero imprescindibili, più importanti dei padri nell’accudimento dei bambini. Questa è una convinzione erronea che non ha nessun fondamento scientifico. La classica frase “i bambini hanno bisogno di una mamma” è semplicemente uno stereotipo, una credenza popolare. I bambini, piuttosto, hanno bisogno di persone che sappiano accudirli e rispondere ai loro bisogni: la caratteristica imprescindibile non è essere donna ma avere determinate “competenze”, pratiche e psicologiche. Se si fosse consapevoli di questo concetto, supportato da evidenze scientifiche, si potrebbe capire come sia assurda una tale disparità di trattamento nel congedo parentale, discriminante in effetti per gli uomini.
Congedo di paternità x2
Il diritto di un padre di dedicare il suo tempo al figlio appena nato e viceversa il diritto dei bambini ad essere accuditi dai propri padri nelle prime fasi di vita non è esattamente garantito e tutelato nel nostro paese, così come in molti altri. La questione cruciale, come si diceva, è che questi non vengono percepite come delle necessità, come dei bisogni e quindi come dei diritti. È considerato “normale” che un padre rientri a lavoro con un figlio di pochi giorni. Se questo può essere un effettivo problema, emotivo e logistico, per moltissime coppie di giovani che, ad esempio, emigrando in altre regioni per questioni lavorative non hanno a disposizione il sostegno della famiglia allargata, pensiamo a quanto possa essere problematico per una coppia omosessuale di due uomini! Sommando la paternità di entrambi si ottiene un tempo di due settimane. Davvero una tempistica avvilente, sia per due neo-genitori e per un neonato.
L’inevitabile conseguenza è che la coppia dovrà decidere chi dei due debba (o possa) prendersi un periodo di pausa dal lavoro, con un carico di frustrazione per entrambi inevitabile. Questo diventa un rischio, sia per il compito genitoriale sia per il futuro rientro a lavoro. Come le aziende ben sanno un lavoratore efficiente è un lavoratore sereno; una persona che si ritrova costretta a lasciare anche solo per un periodo di tempo il suo lavoro al suo rientro avrà un’insoddisfazione e una frustrazione nei confronti del “sistema”, dello stato e perché no, dell’azienda, che inevitabilmente inciderà anche sulla sua performance lavorativa. A prescindere da quanto le politiche aziendali siano attente alle tematiche LGBT+, è importante evidenziare che qualunque persona, nel momento in cui diventa genitore, a prescindere dal sesso e dall’orientamento sessuale, sente il bisogno di dedicare del tempo a suo figlio. Quando ciò non è possibile o è fortemente ostacolato questa persona potrebbe incontrare diverse difficoltà e porterà inevitabilmente lo stress emotivo all’interno del suo lavoro.