Come tutelare i lavoratori dalla
presunzione di eterosessualità?

Cos’è la presunzione di eterosessualità

La presunzione di eterosessualità è forse uno degli aspetti più “automatici”, comuni e spesso involontari che vengono messi in atto. Il luogo di lavoro in particolar modo si presta molto alla messa in atto della presunzione di eterosessualità, consiste, infatti nell’atto del presumere che una persona qualunque, specie quando non si conosce molto bene, sia eterosessuale

A lavoro incontriamo tantissime persone tutti i giorni: colleghi, superiori, clienti. Pressoché chiunque, almeno una volta nella vita avrà messo in atto la presunzione di eterosessualità, senza accorgersene. È appunto, si diceva, un gesto automatico, quasi involontario. Deriva dall’esperienza di ciascuno: siamo abituati ad attribuire delle caratteristiche alle persone sulla base di ciò che possiamo osservare. 

Nella nostra società per “identificare” una persona omosessuale la maggior parte delle persone si rifà ad immagini stereotipiche (ad esempio, gli stereotipi veri e propri di uomo gay “effeminato” e donna lesbica “mascolina”), come se l’orientamento sessuale avesse a che fare con il corpo, con gli atteggiamenti o con il vestiario. Quando queste caratteristiche non vengono individuate si riconduce in automatico (erroneamente) la persona all’altra grande categoria, l’eterosessualità (del tutto tralasciando il fatto che l’orientamento sessuale non sia dicotomico: etero o omo, ma abbia molte diverse sfaccettature). 

 

Presunzione di eterosessualità: è un disagio, per chi?

A prescindere dai motivi per cui venga messa in atto, la presunzione di eterosessualità esiste ed è anche abbastanza comune. Molte persone omosessuali che la sperimentano su di loro possono provare un forte disagio: dare per scontato che l’orientamento sessuale sia quello eterosessuale significa svalutare in qualche modo tutti gli altri orientamenti sessuali, come se fossero meno “ovvi” e probabili. 

Il disagio che può scaturire dalla presunzione di eterosessualità non è solo di chi la “subisce” ma anche di chi la attua. Una persona che si ritiene un alleato (ally) della comunità LGBT+ e ne che ha a cuore i diritti, può sentirsi in colpa dopo aver notato di avere assunto questo atteggiamento. Non di meno, come si diceva, chi lo subisce può sentirsi inadeguato, sminuito e probabilmente incompreso. 

Immaginando la situazione in cui due colleghi in buoni rapporti abbiano una conversazione su temi di vita quotidiana potrebbe facilmente accadere che uno dei due presuma l’eterosessualità dell’altro, con frasi “innocue” come: “la ragazza ce l’hai?”. Una persona, ad esempio, omosessuale potrebbe sentirsi estremamente a disagio a dover “dissimulare” il proprio orientamento sessuale, sentendosi magari “costretto” al coming out. Di contro, ad una risposta sincera e schietta “no, ma ho un ragazzo!” il collega potrebbe a sua volta sentirsi in imbarazzo, forse in colpa, forse a disagio. Pensando alle conseguenze della presunzione di eterosessualità sul luogo di lavoro, quindi, non è difficile intuire come possa sfociare in sentimenti e vissuti negativi per entrambe le parti, che possono essere solo temporanei o in base al contesto e ad elementi specifici (immaginate se, anziché con un collega, la stessa conversazione avvenga con il capo) più complessi e “duraturi”. 

 

Come tutelare i lavoratori dalla presunzione di eterosessualità

È risaputo ed ampiamente dimostrato che la serenità sul luogo di lavoro sia un elemento indispensabile per lavorare bene. A questa serenità contribuisce enormemente un buon rapporto tra colleghi, che sia sincero ed aperto, così come un rapporto di fiducia tra superiori e dipendenti.  Un’operazione apparentemente “banale” e spesso involontaria come la presunzione di eterosessualità può minare questo rapporto di fiducia. È quindi estremamente importante porre attenzione a questo aspetto. L’ideale sarebbe, quindi, sforzarsi ad imparare di riconoscere quando la si sta per mettere in atto ed evitare di farlo. 

Spesso è più semplice di ciò che si pensa, un esempio molto banale riguarda le parole: riguardo all’esempio precedente basterebbe chiedere “hai un partner?” in modo generico, senza specificare il genere. È chiaramente molto difficile rendersi conto di qualcosa di automatico, a monte quindi sarebbe un ottimo passo quello di rendere, appunto, meno automatico questo comportamento, sensibilizzando il personale a tematiche del genere. 

Le politiche anti-discriminatorie infatti si incentrano spesso sulle discriminazioni più vistose, come le molestie, ma tralasciano aspetti, come la presunzione di eterosessualità, di cui moltissime persone non sono consapevoli. Le aziende che mettono in atto delle politiche attente alla diversità in ambito sessuale, come la Diversity & Inclusion, potrebbero far percepire il luogo di lavoro come più accogliente. Come già detto, se i lavoratori sono sereni e tutelati, potrebbero avere una maggior produttività lavorativa, portando, quindi, anche a vantaggi non solo sul clima aziendale e i rapporti tra colleghi, ma anche economici.

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