Quanto sono riconosciute le persone LGBT+ nello sport?
La European Gay Lesbian Sport Federation (EGLSF) è la prima organizzazione internazionale, con sede ad Amsterdam, che a livello europeo promuove all’interno del mondo sportivo la visibilità delle persone LBGT+. Si occupa infatti di coordinare gruppi sportivi e di organizzare eventi a livello continentale come gli Eurogames. Perché esiste un’organizzazione del genere? Il motivo è ovvio: nel mondo dello sport non c’è una presenza accettata e riconosciuta di persone LGBT+. Ciò si nota, ad esempio, dallo scalpore che suscitano i coming out di noti personaggi sportivi. Le testate giornalistiche, in ogni parte del mondo, trattano la notizia del coming out degli sportivi come una notizia sensazionale, che deve necessariamente suscitare un enorme “scandalo”, anche quando gli stessi sportivi la trattano con estrema naturalezza e semplicità. Un esempio? Paola Egonu è una bravissima pallavolista classe ’98 della nazionale italiana che, a seguito di una sconfitta nel campionato mondiale 2018 ad un giornalista che le chiedeva “Come hai affrontato la delusione della sconfitta?” ha risposto con tutta la naturalezza del caso: “Ho chiamato la mia ragazza che mi ha consolata”. Il giornale non ha mancato di gestire la notizia come se fosse una rivelazione shock. Ma per quale motivo suscita così tanto scalpore tutt’oggi, in Italia in particolar modo, che gli sportivi facciano coming out?
LGBT+ nel mondo del calcio: un connubio possibile?
In alcuni sport più che in altri si nota una forte resistenza nei confronti della comunità LGBT+. Prendiamo ad esempio lo sport più diffuso e seguito a livello mondiale ma specialmente italiano: il calcio. Riusciamo a pensare ad un calciatore italiano gay? Probabilmente no. È plausibile pensare che, su circa 1000 uomini calciatori agonisti nel nostro paese (calcolato facilmente con una semplice moltiplicazione di numero di squadre di serie A e B, 40 circa, per numero di giocatori a squadra, 25 circa), nessuno di questi sia gay, trans, bisessuale o asessuale? Non è facile dare una spiegazione a questo fenomeno, però il calciatore “tipo” nell’immaginario collettivo incarna lo stereotipo di uomo con le caratteristiche di virilità e forza, caratteristiche opposte allo stereotipo di omosessuale (effeminatezza e fragilità). Anche la questione dello spogliatoio citata dal calciatore non è da sottovalutare: in un ambiente di quel tipo gli uomini scherzano molto con la sessualità, denigrando di fatto la sessualità tra uomini; è comprensibile quanto una persona omosessuale possa sentirsi scoraggiata al coming out e non voglia esporsi al rischio di venire emarginata dalla sua squadra. La coesione tra i compagni di squadra, infatti, è cruciale per avere delle alte performance. Insomma, il mondo del calcio, non è difficile dirlo, è più omofobo rispetto ad altri ambiti sportivi. Anzi, specifichiamo: il mondo del calcio maschile. Nel mondo del calcio femminile, infatti, le calciatrici omosessuali non fanno scalpore, sono molte e le persone lo ritengono quasi ovvio: “se gioca a calcio ovvio che sia lesbica” (usato purtroppo spesso in senso denigratorio). Si tratta, in realtà, di uno stereotipo: così come il calciatore è “sicuramente” eterosessuale, la calciatrice è “sicuramente” lesbica. Non è certamente sempre così. Questi stereotipi confermano quanto detto appena prima: il calcio nell’immaginario comune è (purtroppo) sport da uomo, da “uomo vero”.
Lo sport non è solo una questione di fisico
Uscendo dallo specifico ambito del mondo calcistico, non abbiamo di fatto trovato risposta alla domanda “Perché il coming out degli sportivi suscita, in genere, scalpore?”. Infatti, si è parlato del perché nel mondo del calcio il coming out non esista proprio, ma questo non è generalizzabile ad altri sport. Sono molti a livello mondiale gli sportivi che hanno dichiarato la propria omosessualità o il proprio transgenderismo (più a livello mondiale che a livello italiano nello specifico): pallavolo, pallamano, basket, tennis, atletica, nuoto, tuffi, ginnastica artistica, etc.
La diversità LGBT in ambito sportivo è considerata ricchezza? Valore? Forse, non proprio. Se nel mondo lavorativo negli ultimi anni le politiche di diversity management sono sempre più orientate a valorizzare la diversità delle persone è perché ci si è resi conto che, in quell’ambito, la diversità è ricchezza. Nel lavoro, infatti, la persona che sta dietro il ruolo è cruciale per ottenere un’alta performance. Nello sport vale lo stesso? C’è in realtà l’opinione, molto diffusa, che a prescindere dallo sport a cui ci si riferisce ciò che sia importante è la prestazione fisica di per sé. Tutti gli sportivi sanno, però, che la componente mentale e psicologica è cruciale in qualunque sport, sia individuale che di squadra. Perché allora non si considera che nello sport, proprio come nel lavoro, la diversità può essere ricchezza?
Questo potrebbe essere, infatti, sereno ed onesto con sé stesso; di conseguenza avrà la mente libera da altre preoccupazioni per potersi concentrare sulla sua performance, in altre parole potrà dare il massimo. Purtroppo, ancora oggi la diversità LGBT nello sport non solo non è valorizzata, è non considerata, come se non esistesse. È per questo motivo che nel momento in cui si presenta i giornali (e le persone di conseguenza) trattano questo elemento come qualcosa che “fa notizia”. Ci sono, però, alcune realtà milanesi che tengono particolarmente alla rappresentazione delle persone LGBT+ nello sport, come Gate Volley Milano, Rainbowling Milano e Pride Sport Milano (propone pallacanestro, yoga, ciclismo e nuoto), in cui potrete trovare riconoscimento e…divertimento!