Essere trans in azienda:
come muoversi?

Essere transgender VS essere transessuale: non facciamo confusione

La persona transgender è una persona che può provare disagio nei riguardi del proprio sesso biologico, non conforme alla sua identità di genere. L’identità di genere è infatti il senso intimo di appartenenza ad un genere: le persone transgender sentono di appartenere ad un genere diverso rispetto a quello definito dai loro genitali e caratteri sessuali secondari, che determinano, appunto, il sesso biologico. 

Sfatiamo un mito: la disforia, cioè il disagio che potrebbero percepire, potrebbe non essere rivolta a tutte le parti del proprio corpo che riconducono al sesso biologico, come i genitali o le zone erogene, ma solo ad alcune o nessuna. Non è, quindi, sempre vero che le persone trans si sentono “intrappolate in un corpo che non gli appartiene”: i vissuti non sono univoci. Per questi motivi, alcune persone trans potrebbero decidere di intraprendere un processo di transizione per “spostarsi” verso lo spettro di genere a cui percepiscono di appartenere.  Nella maggior parte dei casi si sottopongono a cure ormonali e vestono abiti conformi alla loro identità di genere. Alcune persone desiderano ricorrere anche ad interventi chirurgici di riassegnazione del sesso biologico. Alcune di queste ultime persone, potrebbero autodefinirsi transessualiÈ importante ricordare che non bisogna generalizzare: alcune persone si definiscono transgender e altre transessuali. Quello che è importante rispettare sono le parole e le modalità secondo cui la persona si autodefinisce.

 

Discriminare le persone transgender: non riconoscerle per chi sono davvero

I vissuti emotivi e psicologici di una persona trans potrebbero essere molto forti e impegnativi.  Il transgenderismo è, infatti, ancora oggi una delle condizioni più difficili da accettare per chi non la vive in prima persona: in moltissimi ambienti le persone quotidianamente non riescono a immedesimarsi nelle persone trans, stupendosi, ad esempio, se negli spogliatoi delle palestre si trovano a tu per tu con una persona transgender, con un corpo che non si aspetterebbero di trovare. 

Nel contesto di lavoro? La situazione è forse ancora più delicata: l’identità sessuale di una persona non dovrebbe in alcun modo essere motivo di stress lavoro correlato oppure di burn out nei casi peggiori. Purtroppo spesso non è così: nonostante la persona transgender spesso voglia e cerchi di tutelare la sua privacy riguardo all’essere trans, può capitare che i colleghi, capi e clienti, potrebbero farle outing e, successivamente, giudicarla negativamente per una sua caratteristica intima e privata, come l’identità di genere, un aspetto certamente che nulla ha a che fare con la professionalità.

Il problema, spessissimo, è che le stesse aziende, pur con le migliori intenzioni, non sanno come poter supportare nel concreto i loro lavoratori transgender. In realtà, si potrebbe anche partire da aspetti apparentemente banali ma, in realtà molto significativi come ad esempio utilizzare il pronome corretto, rivolgersi ad una persona transgender con il genere che preferisce. E’ importante ricordare che la persona ha tutto il diritto di essere chiamata con il genere che preferisce,  indipendentemente da se abbia o no avviato un processo di transizione.  Quanto ci disturba, quando una persona (assolutamente in buona fede) si ricorda male il nostro nome o storpia la pronuncia? Per le persone transgender questo accade quotidianamente, ed è più grave del semplice “non ricordarsi”, perché è un intenzionale rifiutarsi di riconoscere l’identità di genere dell’altro.

 

Qualche esempio concreto da utilizzare in azienda

Il pronome con cui ci si rivolge alle persone in transizione è solo un esempio, ma si potrebbe pensare a molti altri. Prima di tutto, bisogna porre attenzione già dal primo momento, ossia il primo colloquio. E’ un momento molto rischioso: sul CV del candidat* potrebbe essere indicata la sua identità di genere e, sulla carta d’identità potrebbe ancora essere presente il dead name e, quindi, il riferimento al sesso biologico. 

Gestire questa “incongruenza” con tatto e delicatezza è fondamentale: ci si può trovare spiazzati e non sapere come reagire, ma bisogna cercare di non porre domande per indagare meglio la condizione privata del candidato, in quanto non solo viola la sua privacy e sensibilità, ma anche la legge per cui sono vietate indagini su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore (art. 8 dello statuto dei lavoratori). Una volta inserita la persona nell’ambiente lavorativo, bisogna quanto più farla sentire a proprio agio, come ad esempio al momento dell’uso dei bagni e degli spogliatoi: andrebbe garantito l’accesso alle persone transgender al bagno/spogliatoio conforme al genere a cui sente di appartenere, non a quello biologico.

Importantissimo è anche porre attenzione al nome con lui la persona vuole essere chiamata e non menzionare mai il dead name (il nome assegnato alla nascita che potrebbe non essere più riconosciuto dalla persona trans come proprio). Può sembrare un gesto semplice, ma può aiutare moltissimo le persone trans a non sentirsi discriminate.  I diritti dei lavoratori LGBT+, tra cui figurano, appunto, anche le persone transgender, sono via via sempre più riconosciuti e tutelati dalle aziende, bisogna però non fermarsi alla teoria e ricordarsi sempre che bisogna mettere in pratica.