Coming out a lavoro

Coming out, cioè “Uscire allo scoperto” 

Immaginiamo che, in un giorno qualunque di lavoro in ufficio, il collega seduto alla scrivania di fronte a noi richiami l’attenzione di tutti per comunicare, “ufficialmente” e solennemente il suo orientamento sessuale: “Cari colleghi, io sono gay!”. Sembra forse più una scena da film che un episodio di vita reale, quasi grottesca se contestualizzata alla quotidianità. È molto difficile, infatti, che il coming out sul luogo di lavoro, o in generale in altri contesti di vita, avvenga in questo modo. Coming out significa letteralmente “venire fuori, uscire allo scoperto” e proviene dall’espressione “coming out of the closet”, cioè uscire dall’armadio, svelando la propria identità sessuale.

Le parole sono sempre importanti: nella nostra cultura e nella nostra società, implicitamente, si assume che chi dichiara la propria omosessualità abbia un segreto da custodire e finalmente decide di rivelarlo. In realtà, se non esistesse discriminazione verso le persone con un’identità sessuale non maggioritaria, fare coming out non sarebbe considerata come sopracitato. In Italia oggi, le politiche antidiscriminatorie e attente a tematiche LGBT+ nelle aziende non costituiscono la norma, ma un “vanto”, qualcosa su cui l’azienda può fare leva per sottolineare la propria apertura. 

 

Perché può essere importante fare coming out sul lavoro?

Moltissimi sono gli studi e le pubblicazioni scientifiche che sostengono che un benessere a 360° del lavoratore abbia benefici sull’attività lavorativa, aumentando in modo indiretto la produttività e gli utili delle aziende. Il meccanismo non è difficile da intuire: una persona che sul luogo di lavoro è serena, sotto ogni punto di vista, lavorerà meglio. È molto probabile, quindi che una persona abbia l’esigenza di condividere con i colleghi con cui lavora a stretto contatto e al proprio capo il proprio orientamento sessuale, per accertarsi che non sia qualcosa che possa intaccare la serenità di tutti, i rapporti tra i lavoratori e in generale il clima lavorativo.  Nonostante ciò il coming out è una scelta personale, nessuno dovrebbe sentirsi obbligato a fare coming out sul luogo di lavoro. L’orientamento sessuale, infatti, non può e non deve incidere in alcun modo in nessun tipo di lavoro e di mansione, è una dimensione privata e intima che esula dall’attività lavorativa.

 

Come si può fare coming out sul lavoro?

Prendere la decisione di fare coming out sul lavoro può essere complesso e diverse sono le variabili da tenere in considerazione. Innanzitutto, è importante ascoltarsi: è il momento giusto? Mi sento pront*? Sento che l’ambiente di lavoro è pronto per accogliere le mie parole? Non esiste un momento perfetto per decidere di farlo, esiste solo il tuo momento, quello in cui ti senti a tuo agio nel parlarne.  

Poi, è importante valutare il tuo ambiente lavorativo. Chiediti come pensi che potrebbero reagire al tuo coming out. Ti aspetti un trattamento lavorativo uguale a prima o diverso dopo il coming out? Se il clima aziendale è positivo, questo può essere un aspetto che tende a facilitare il processo, in quanto si può percepire una maggiore sicurezza psicologica. Fondamentale è anche il tuo rapporto con i colleghi: percepisci da parte loro ostilità o, al contrario, appoggio? Potrebbe, nell’ultimo caso, essere un’opzione quella di iniziare a parlarne con i colleghi più fidati e che potrebbero accogliere meglio il tuo coming out.  Compiere il processo del coming out per gradi potrebbe essere un grande aiuto a rispettare i tuoi tempi. E’ importante tenere a mente queste variabili in quanto fare coming out su un luogo di lavoro non supportivo potrebbe, al contrario, peggiorare la qualità del proprio vissuto lavorativo. 

Coming out VS Outing

Coming out vs Outing: tutta questione di filosofia

La volontà è ciò che, secondo molti antichi filosofi, caratterizza l’essere umano. “Cogito ergo sum” (Cartesio): penso quindi sono; sono capace di pensare a ciò che voglio ed è per questo che esito. Eppure, molti altri filosofi ci dicono che la volontà non governa la nostra vita, accadono moltissimi fatti che esulano da ciò che desideriamo e che non possiamo fare altro che accettare, stoicamente. È proprio dallo stoicismo che deriva la massima “Non devi cercare che le cose vadano a modo tuo, ma volere che vadano così come vanno, e ciò sarà bene” (Epitteto). Perché parliamo di filosofia? Perché la differenza tra la volontà e lo stoicismo che permette l’accettazione dell’ineluttabile è ciò che distingue il coming out dall’outing. In che senso? Il coming out è l’azione volontaria e attiva di dichiarare il proprio orientamento sessuale, è la volontà; l’outing è il subire la rivelazione del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere da altre persone in modo indipendente dalla nostra volontà. Perché accomunare l’outing allo stoicismo, all’accettazione dell’ineluttabile, alla serenità nell’accettare che qualcosa non può essere controllato?

 

Coming out e outing…quali le conseguenze?

Il coming out può avvenire a seguito di un percorso di accettazione che ha tempistiche e modalità del tutto individuali. Può essere una scelta molto combattuta che però spesso riesce a sollevare chi la compie. Può, ma le cose non vanno sempre così. Moltissime persone infatti vivono il coming out con totale naturalezza e semplicità, trattando la propria omosessualità come una propria caratteristica come qualsiasi altra: “Mamma sarò un medico…Papà voglio studiare un semestre all’estero… Famiglia, vorrei presentarvi il mio primo ragazzo!”. Il coming out, quindi, comporta un percorso che può essere più o meno sofferto, che dipende anche da come si pensa che le persone care lo accoglieranno. Per quanto riguarda l’outing, al contrario, è molto più probabile che la persona che lo subisce abbia delle conseguenze psicologiche complesse. Non è difficile immaginare il motivo, tutti noi sappiamo bene che le cose che subiamo e su cui non abbiamo potere ci fanno soffrire: ci sentiamo impotenti, sentiamo un sentimento di ingiustizia, forse proviamo rabbia. Facile dire “accetta le cose così come vengono, non cercare di controllare ciò che non puoi” ma ritrovarsi davanti al fatto compiuto è tutt’altra storia, la nostra mentalità moderna è del tutto lontana da questo tipo di pensiero filosofico. È proprio questo il motivo per cui spesso si soffre a seguito dell’outing e in generale si soffre quando le cose sfuggono al nostro controllo, quando qualcuno tradisce la nostra fiducia. Inoltre, è importante evidenziare che le persone che subiscono outing spesso non sono ancora “out” e quindi non hanno ancora fatto coming out con le persone care o in ambiente lavorativo. Ciò comporta che, spesso, non hanno ancora accettato del tutto la propria diversità in ambito sessuale: sentire svelato questo aspetto di sé ancora così doloroso può fare davvero molto male.

 

Come possono intrecciarsi coming out e outing?

Ciò che forse è più interessante della volontà di controllo è che quando questa blocca altre nostre volontà, porta a frenare le nostre azioni e i nostri desideri. Per esempio: quando la paura dell’outing, cioè che ci accada qualcosa che sfugge al nostro controllo, ci impedisce di fare coming out, di fatto la paura che ci venga a mancare il controllo ci fa perdere il controllo su noi stessi. Non è raro, infatti, che una persona sia effettivamente motivata a fare coming out, abbia il desiderio di farlo, ma la paura che da questo possa derivare l’outing la bloccaSi instaura un circolo vizioso per cui la paura dell’incontrollabile ci toglie il controllo sulle nostre libere scelte, sulle nostre decisioni, esponendoci di fatto a quello stesso incontrollabile di cui avevamo inizialmente paura. Secondo Seneca le persone: “Perdono il giorno in attesa della notte, la notte per timore del giorno”; questi principi filosofici lontani da noi millenni sono tutt’oggi molto calzanti per spiegare le dinamiche della mente umana. Non a caso, una delle terapie psicologiche più diffuse per il trattamento dell’ansia, un disturbo spesso connesso a outing e coming out, è la CBT cioè una tipologia di psicoterapia cognitivo comportamentale utilizzata nel nostro centro psicologico, che trova le sue origini proprio in queste teorizzazioni.