Cos’è il minority stress?
In psicologia, è stato individuato un termine per indicare il distress (ovvero stress negativo) a cui sono sottoposte le minoranze sociali, cioè gruppi di persone con delle caratteristiche differenti da quelle che prevalgono nella società in cui vivono. Le minoranze, quindi, sono tali per una questione prevalentemente numerica: le donne militari (italiane e nel mondo) sono una minoranza, le persone africane in Italia sono una minoranza, le ragazze madri (dai 18/20 anni in giù) sono una minoranza. Ogni minoranza ha, chiaramente, le sue caratteristiche ben precise, i suoi bisogni e necessità, i suoi punti di forza e debolezza. Tutte però sono accomunate da un fattore molto importante: lo stress che deriva dalla stessa appartenenza alla minoranza, dalle persistenti discriminazioni e differenze di opportunità che ne derivano. La comunità LGBT+ è considerata una minoranza quindi, in quanto tale, è sottoposta al minority stress.
“La discriminazione mi stressa”
Non è facile, se non si appartiene a una minoranza sociale, immedesimarsi in questo tipo di stress peculiare che deriva dalla discriminazione esplicita o implicita. Le discriminazioni più palesi e plateali sono dirette, esplicite, forse anche mirate a ferire la persona discriminata: esempio recente tristemente noto all’opinione pubblica è il rifiuto di una donna meridionale ad affittare per un breve soggiorno il suo appartamento disponibile su una piattaforma rinomata ad una coppia di uomini in vacanza. La donna, infatti, non ha assolutamente dissimulato le ragioni del rifiuto: “non affitto ai gay”.
Per quanto una persona possa essere psicologicamente equilibrata, avere un benessere solido e una soddisfazione generica di vita, essere sottoposti a tali discriminazioni è indubbiamente qualcosa che ferisce, fa arrabbiare, rende delusi, tristi, fa percepire un senso di impotenza. Tutti questi sentimenti negativi, anche se provati per una frazione di secondo, si sedimentano nella psiche delle persone contribuendo a creare questo stress. In certi casi, questi sentimenti negativi possono essere così intensi e ingestibili che la persona percepisce la necessità di parlarne con uno psicologo. Inoltre, le discriminazioni non sono sempre di questo tipo, esplicite e molto dirette, spesso sono più implicite e quindi subdole. Pensate ad una bambina che non viene invitata alla festa di compleanno del compagno di classe: il motivo è che i genitori non riescono a concepire come la bambina possa avere due mamme e nessun papà, nessuno lo dice ma tutti lo sanno. Questa forma di discriminazione è particolarmente subdola, passa attraverso una terza persona e si può sommare anche all’indifferenza della maggior parte delle persone che, di fronte a questa profonda ingiustizia, si girano dall’altra parte.
Come gestire il minority stress: l’unione fa la forza
Le minoranze, come già detto, in quanto tali sono caratterizzate dal peculiare stress derivante dalle discriminazioni. Hanno però un’altra peculiarità, opposta o forse speculare: una forte coesione interna. I gruppi minoritari, che sia per istinto di sopravvivenza, che sia per spiccata empatia derivante dalle stesse esperienze negative (discriminatorie) sono molto coesi, si supportano e sostengono a vicenda. La comunità LGBT+ in particolar modo ha un fortissimo senso di solidarietà interna, elemento fortemente positivo per combattere le discriminazioni. Questa, però, non può certamente essere la soluzione definitiva. Per ridurre, o eliminare completamente, il minority stress, è importante prima di tutto una tutela dalle discriminazioni subite che parta primariamente dallo Stato, con l’approvazione di una Legge contro l’omobitransfobia. Infine, è necessaria una forte spinta educativa a livello sociale che porti a un cambiamento di percezione delle persone che facciano parte di una qualsiasi minoranza in ambito sessuale: da “minoritaria” a, semplicemente, differente e per questo unica.